Da una parte sarebbe impossibile non dare l’abbrivio a questo nuovo numero di «Mantichora» senza un riferimento alla tragedia pandemica incombente (quando usciremo probabilmente se ne saranno già visti ampiamente i tristi effetti). Dall’altra, il nostro intento è quello di dirne il meno possibile, non solo perché all’altezza cronologica in cui ne scriviamo poco o nulla si sa a riguardo, ma anche perché coerentemente con la nostra vocazione alla performance pensiamo che adesso sia il momento dell’azione non della mera speculazione. Se ospitiamo, con riconoscenza nei confronti del suo autore, un contributo, inedito in italiano, di Richard Schechner lo facciamo, giacché, per quanto sembri scritto nel presente e per il presente, lo precede di qualche mese (la caratura oracolare dei Performance Studies?).
Adesso, infatti, si moltiplicheranno, gli esegeti verbosi e in particolar modo gli accaniti entusiasti dei dispositivi mediatici che vedono il loro campo di osservazione privilegiato trasformato una volta per tutte nell’unico terreno in cui si possa giocare la partita della nostra esistenza. Così come, si moltiplicheranno le cassandre, capaci di compulsare i calendari venturi come fossero oroscopi destinati a ribadire, secondo l’intuizione di un genio sempre attuale, la superstizione illusoria delle statistiche.
Noi ci limitiamo a constatare come quello che sta avvenendo costituisca, per paradosso e per costrizione, la radicalizzazione (definitiva?) di un processo di lungo corso. Si può osare di dire che abbiamo privilegiato il Mediascape come orizzonte pervasivo e conclusivo della nostra vita, al punto tale che, come in un desiderio a lungo accarezzato, come una promessa continuamente rilanciata adesso essa sia stata mantenuta e a carissimo prezzo?
Non sta a noi rispondere, ma per certi versi è beffardo questo contrappasso fatale, di stampo dantesco, per effetto del quale, a furia di frequentare certe prigioni si finisce per affezionarsene, smarrendo la memoria della vita en plein air o provandone un’invincibile nostalgia (che poi è fattore essenziale di ogni medium, vecchio o nuovo che sia).
Perlomeno, oggi (e, temiamo, nei prossimi mesi), sarà chiaro come la performance dal vivo non sia, in nessun caso, ri-mediabile da quei dispositivi che, favorendo la comunicazione e l’unico avvicinamento oggi possibile tra esseri umani, finiscono in realtà per allontanarci dagli altri così come dall’evidenza della verità, sfrangiata nell’etere e nelle sue bolle. Ma tant’è...
Per coerenza con quanto dicevamo in premessa, aggiungiamo solo che, come il teatro insegna, anche il silenzio è una forma di azione o di preparazione all’azione, oltre il mare magnum di tante parole inutili, per cui è ora di tacersi, non prima però di aver ringraziato il Museo Internazionale delle Marionette “G. Pasqualino”, che da oggi patrocina la rivista, dandovi nuovo, decisivo, impulso verso l’orizzonte epistemologico dei Performance Studies, con tutto quel che ciò concerne alle nostre latitudini.
Questo numero contiene, in larga parte, l’esito della ricchissima giornata di studi Performance Studies in Italia. Un paradigma transdisciplinare per la ricerca, organizzata, il 13 giugno 2019, a Palermo presso il Museo Pasqualino.
Table of Contents
Saggi
Richard Schechner
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11
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Marco De Marinis
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23
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Stefano De Matteis
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33
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Rosario Perricone
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41
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Ignazio E. Buttitta
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51
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Fabio Mugnaini
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69
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Fabio La Mantia
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83
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Salvatore Costanza
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95
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Paolo Pizzimento
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107
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Giovanni Busà
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131
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